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Un ragazzo d'oro - Recensione

18/09/2014 | Recensioni |
Un ragazzo d'oro - Recensione

Il vero traino pubblicitario dell’ultimo film di Pupi Avati, Un ragazzo d’oro, probabilmente è rappresentato dalla presenza della diva Sharon Stone nel terzetto dei protagonisti. Ma, al di là della partecipazione illustre della bionda e fascinosa attrice, il film è un altro viaggio intriso di malinconia e nostalgia all’interno di un rapporto irrisolto tra un padre e un figlio.
La pellicola racconta la storia di Davide Bias (Riccardo Scamarcio), figlio di uno sceneggiatore di film di serie B, che lavora come creativo pubblicitario ma sogna una carriera da scrittore. Davide convive con ansia e insoddisfazione che tiene a bada con le pillole; neanche la fidanzata Silvia (Cristiana Capotondi) sa come sollevarlo. Alla morte improvvisa del padre per un incidente, Davide si trasferisce da Milano a Roma dove incontra un’affascinante editrice, Ludovica Stern (Sharon Stone), interessata a pubblicare un libro autobiografico che il padre voleva scrivere. La donna chiede a Davide di rintracciare sul computer del papà le tracce di quel libro che forse stava scrivendo all’insaputa di tutti. Intanto Davide viene a sapere dall’avvocato dell’assicurazione, chiamato a indagare sulla dinamica dell’incidente del padre, che probabilmente si è trattato di suicidio. Completamente distrutto, il giovane Bias vuole saperne di più su quel papà che forse non ha mai conosciuto davvero. Davide inizia così a frugare tra i suoi ricordi e a cercare tracce e appunti nel suo computer. Finirà per scrivere lui stesso il libro, come se a farlo fosse stato suo padre. Ma la scrittura non lo aiuterà a superare le sue inquietudini. 
Ancora un padre, ancora un genitore “ingombrante”, ancora un rapporto difficile. La filmografia di Pupi Avati è piena di padri a loro modo “speciali”, da La cena per farli conoscere, a Il papà di Giovanna, fino a Il figlio più piccolo, solo per citarne alcuni.
Un ragazzo d’oro vede il regista emiliano indagare nuovamente anime perdute in un passato misterioso, ancora una volta alla ricerca di memorie, di ricordi, di sopiti conflitti familiari. Anche in questo caso, uno sentimento di struggente nostalgia avvolge la ricerca di un passato che non c’è più. Il tuffo all’indietro questa volta lo deve compiere un figlio problematico che, attraverso la scoperta di un padre mai davvero conosciuto, arriva a scoprire se stesso. E’ davvero ‘un ragazzo d’oro’ quello che, per usare le parole del regista, sacrifica la sua salute mentale al risarcimento di un padre che non ce l’ha fatta.
Una storia dichiaratamente autobiografica, per ammissione dello stesso regista, in cui si intravedono il fantasma di un padre antiquario bolognese con il sogno segreto del cinema e un figlio regista che ammette di vivere perennemente “l’ebbrezza del fallito”. 
Pur partendo in maniera promettente, il film però si perde per strada, seguendo quasi la parabola di quel “ragazzo d’oro” che annebbia la sua mente nella disperata ricerca di un genitore. 
Al di là di questo, resta da notare la buona prova di Riccardo Scamarcio contornato dalle presenze femminili di Cristiana Capotondi nel ruolo della fidanzata e Giovanna Ralli in quello della mamma. Chiusa nel suo ruolo di donna dal fascino fatale, Sharon Stone recita freddamente un ruolo ambiguo che lascia aperti troppi interrogativi.
Da autore sempre acuto e raffinato quale è, nel corso del film Avati cita un certo cinema del passato fatto di quelle pellicole di serie B tanto amate e rivalutate oggi da Tarantino (più volte evocato). E il defunto sceneggiatore di 'filmacci' Achille Bias non può non richiamare alla mente quel Sandro Lanza, protagonista de La cena per farli conoscere, attore di film di Corbucci che sognava Germi, artista al crepuscolo incapace di amare, aggrappato ormai solo all’amore per il cinema.
Achille Stern è un altro uomo che ha sofferto per non aver visto riconosciuto il suo talento, proprio come accade al figlio che si accorge che il padre, forse, era un incompreso come lui. Ancora un chiaro esempio di come i fallimenti e le frustrazioni dei genitori possono compromettere la salute mentale dei figli. Nel film il figlio si riapproprierà davvero del padre solo dopo averlo perso, un riavvicinamento che non corrisponderà però a una guarigione, conducendo invece all’autodistruzione.
Peccato che tanti spunti interessanti non abbiano trovato un’adeguata trasposizione filmica, che si smarrisce in una messa in scena fatta di dialoghi poco incisivi e sprofonda in una sceneggiatura che lascia troppi nodi irrisolti e su cui nulla può la convincente prova di un protagonista che sembra aver trovato davvero la sua maturità d’artista.

Elena Bartoni

 


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